A partire dalla fine degli anni ’80 numerosi studi hanno dimostrato come: i cambiamenti patologici che seguono a diagnosi di demenza di Alzheimer non producano necessariamente delle manifestazioni cliniche. Inoltre è stato dimostrato che un danno cerebrale acquisito di paragonabile severità in due soggetti possa causare differenti livelli di deficit cognitivo caratterizzati da differenze nella velocità di recupero del disturbo.
Nel 1991, a Mankato in Minnesota, David Snowden si è trovato di fronte una suora centenaria di nome Suor Mary, per farle un test. Le chiese di ricordare una lista di parole, di disegnare forme geometriche, e lei superò ogni esame in maniera brillante.
Dopo la morte di Suor Mary a 102 anni, un laboratorio ha esaminato il suo cervello. In vita lei era vigile e con la memoria intatta; ma invece di trovare un cervello sano, gli scienziati ne hanno visto uno pieno di grumi evidenti di proteine, indice di Alzheimer conclamato. Suor Mary faceva parte di un nuovo (a quel tempo) progetto di ricerca sull’Alzheimer chiamato «Nun Study» [nun=suora], e le sue scoperte non solo hanno fatto luce sulla malattia, ma hanno ispirato gli studi più grandi di Alzheimer che esistono oggi.
Nel 1986, quando David Snowden ha iniziato il Nun Study, i ricercatori che stavano studiando le cause relative all’Alzheimer avevano un problema: mentre erano in grado di trovare cervelli donati da coloro a cui era stata diagnosticata una demenza in cliniche di ricerca, c’erano pochi cervelli senza patologie a loro disposizione per il confronto. Il Nun Study comprendeva 678 partecipanti donne, tutte oltre i 75 anni, e alcune già con i sintomi dell’Alzheimer. Dal momento che le sorelle vivevano con stili di vita simili nel convento, molti fattori sono stati immediatamente esclusi, fornendo un certo controllo sperimentale.
Le suore partecipanti hanno condiviso con i ricercatori i resoconti scritti della loro vita e i loro saggi personali da quando avevano preso i voti, e anche questi hanno fornito probabili indizi della malattia.
Dall’analisi dei loro scritti, chi aveva:
• una maggiore scolarizzazione
• maggiori abilità linguistiche
• emozioni positive
aveva una minore probabilità di sviluppare
deficit cognitivi
Il Nun Study ha scatenato un intero nuovo mondo di studi di Alzheimer, e i progressi continuano anche oggi attraverso la partecipazione dei devoti. Il «Religious Orders Study» della Rush University, che espande il lavoro del Nun Study, ha avuto inizio nel 1992. “Abbiamo identificato numerosi fattori di rischio dell’Alzheimer clinico: 30 o forse più, a seconda di come si considerano i fattori genetici”, dice il Dr. David Bennett, il neurologo che guida il Religious Orders Study. Questi fattori, che vanno dall’esercizio all’umore, dalla suscettibilità al diabete, allo stress e alla depressione, sono costantemente sotto esame.
“Il cervello è una cosa preziosa … non è come un rene in più o un polmone in più”, dice il Dottor Bennett. “La riserva cerebrale è in fondo la sua plasticità … la capacità di prendere un pezzo di cervello e insegnargli a fare qualcosa di diverso”.