Continuiamo a parlare della comunicazione della diagnosi. Abbiamo visto come ci sia una resistenza da parte dei medici nel dare cattive notizie per paura di generare dolore, per paura di sentire ed esprimere emozioni, per il dissenso da parte dei familiari.
La riluttanza nel comunicare la diagnosi di demenza è trasversale sia tra i medici di base che tra gli specialisti; tra questi, i motivi che inducono a omettere la realtà riguardano il timore di far perdere le speranze alla persona e ai famigliari. Per superare lo stigma spesso gli specialisti usano termini come “dimenticanze”, “confusione”, “la memoria non funziona bene come prima”. Anche i familiari, pur con differenze da paese a paese, preferiscono che al malato non venga esplicitata la diagnosi. In uno studio italiano, tutti i parenti riferiscono che non si debba dare la diagnosi completa di demenza ma riportare, al massimo, la presenza di “problemi di memoria”.
Esiste un protocollo chiamato SPIKES che aiuta a comunicare diagnosi infauste. L’acronimo prende il nome dalle fasi da adottare progressivamente nella relazione con la persona.
Tali indicazioni possono essere utili ai professionisti, ma anche ai familiari. Vediamo allora in dettaglio come si articola il processo:
La S sta per SETTING UP ovvero cercare un ambiente favorevole nel quale la persona sia a suo agio, adeguando tempi, modi e chiedendo alla persona se desidera qualcuno al suo fianco. È importante sedersi, stabilire una connessione con la persona (mantenere il contatto con gli occhi) e gestire il tempo e le interruzioni necessarie.
La P sta per PERCEPTION attraverso domande aperte si cerca di ricostruire la percezione che la persona ha della sua condizione clinica.
La I sta per INVITATION ovvero rendere partecipe la persona nei processi decisionali.
La K sta per KNOWLEDGE ovvero trasmettere la diagnosi attraverso informazioni graduali, chiare e semplici, assicurandosi della comprensione e dando tempo di elaborarla.
La E sta per EMOTIONS ovvero convalidare le emozioni della persona davanti alla cattiva notizia attraverso un rapporto empatico che rispetta anche un’eventuale negazione della malattia come meccanismo di difesa.
LA S sta per STRATEGY e SUMMERY ovvero sintetizzare e pianificare il piano delle cure disponibili ed opportune ed informare circa i servizi territoriali.
Tale protocollo suggerisce come la questione non è tanto il “dire o non dire”, ma è incentrato soprattutto sul “COME” fornire le informazioni alla persona interessata. Gli ingredienti essenziali per una buona comunicazione sta nell’instaurare una buona alleanza terapeutica fondata sul rispetto e sull’empatia. La comunicazione della diagnosi va adattata alla persona che abbiamo di fronte, alla sua cultura, ai suoi desideri e richiede grande delicatezza da parte di tutta l’equipe professionale e da parte dei familiari.